Ciao, stai per leggere il nuovo post dei Quadernetti per la rubrica Travelgram.
Fotografie, aneddoti, racconti di viaggio. Lungi da una vita instagrammabile all'ombra delle palme ma con la grazia di chi sa che dietro il romanticismo delle cartoline c’è sempre un’implicita, scomoda, dichiarazione: noi qui, voi lì, noi sì, voi no.
Come già reso noto in post precedenti, la mia esistenza è segnata da un marchio di fabbrica impresso sotto pelle chiamato ipocondria. Da anni cerco di depistarla in tutti i modi e l’unico che sembra funzionare meglio degli altri è quello di continuare a provarci. Il viaggio è il terreno in cui metto alla prova la mia resistenza e dove si rafforza la sorellanza con questa inquilina scomoda. C’è un tacito accordo tra noi due: io assecondo i suoi avvertimenti catastrofisti e in cambio lei si impegna a farmi tornare a casa con la pellaccia intatta. Esattamente con questo spirito, per la mia prima missione oltreoceano nel lontano 2009, ho scelto un progetto sufficientemente lontano e moralmente nobile che sposasse il mio credo e la mia visione delle cose e sono partita con il santino di Padre Leopoldo, infilato a tradimento in valigia da mio padre, e un paio di boccette di fiori di Bach.
Da quella prima esplorazione sono tornata così contenta, così incredibilmente viva e con un bagaglio umano così grande che ho deciso di tornare dopo qualche mese. Stesso posto, progetti ancora più nobili e pericoli più che garantiti.
Questa rubrica si basa sulla certezza che dietro la patina brillante delle cartoline c’è sempre qualcosa di taciuto, qualcosa che abbiamo imparato a nostre spese e che ci secca di mostrare, chi per pudore, chi per non sporcare l’immagine coraggiosa di sè, chi per non passare da fesso.
Nessuno ti verrà mai a raccontare di quei dieci giorni di vacanza ai caraibi in cui ne ha passati nove a discorrere con la tavola del water a causa dell’immancabile intossicazione alimentare; così come nessuno ti dirà di essersi fatto fregare una cifra inenarrabile al banco del cambio, gestito da un tizio che nella migliore delle ipotesi fa il sicario a tempo perso.
Siamo tutti turisti belli, freschi, saggi e intelligenti sulle foto di Instagram, mentre nella realtà siamo vulnerabili, impacciati e anche un poco imbecilli, e il viaggio è il quadro in cui queste ultime tre caratteristiche spiccano sopra ogni altra.
Trovo doveroso ri-pubblicare una serie di diapositive che aveva riscosso gran successo qualche mese fa, la cui didascalia era:
Dietro una foto instagrammabile c’è sempre un partner insofferente.






Ricordatevi di questa faccia, amiche mie, quando pregherete amici e compagni di fare qualche foto ricordo con pretese da Oliviero Toscani. Poi un giorno, in sede Dazebao, parleremo anche di dove la gente vada a pescare tutti quei laboriosi paggetti pronti a ritrarle in una serie di diapositive talmente impeccabili che anche un evento come l’uscita a passeggio col cane diventa materiale papabile per il calendario della Frontline.
Messico 2010 - Viva la vida, muera la muerte
C'è un viaggio che ha rappresentato l’anno zero per l’era di massimo splendore della mia ipocondria: correva l’anno 2010 e il Messico era la meta. All’epoca arrancavo in un lutto difficile da digerire e intorno a me c’erano le premesse per un crollo emotivo. In questo contesto il Messico mi ha raccolta con le sue mani amorevoli e in tutta risposta mi ha gettata in pasto a un altro trauma.
Mi trovavo in una zona dimenticata dal Signore nelle montagne del Guerrero con lo scopo di fare alcune ricerche sui mezzi di comunicazione nelle comunità rurali e, nel pomeriggio, con una carovana di altre dieci anime da Italia, Messico ed El Salvador, avevamo fatto visita a una stazione radio comunitaria - La Voz De Los Pueblos - a Espino Blanco, Malinaltepec. Quella stessa notte, tornando a valle, una valanga ha travolto il furgoncino su cui viaggiavamo.
Quella regione del sud, assieme ad altre limitrofe, pullula sia di progetti di autogoverno e autonomia sia di gente che avrebbe tutto il piacere a far sparire con le proprie mani sia attivisti che simpatizzanti. In questo contesto la presenza di osservatori umanitari, come quelli del gruppo di cui facevo parte, riesce a garantire nel 90% dei casi una tregua da minacce, violenze e scontri di potere tra i bravacci del governo e le comunità indigene. Era per noi essenziale trovarci lì in quei giorni, in cui il livello di tensione aveva raggiunto livelli altissimi. Allo stesso modo, anche le piogge stagionali avevano raggiunto livelli notevoli.
Ci sono donne, uomini e bambini, lassù, che per motivi estranei alla logica umana non godono degli stessi diritti del resto della popolazione, non sono nemmeno numeri per il governo locale, che non ha interesse a censirli; queste donne, uomini e bambini diventano oggetto di considerazione da parte degli apparati statali solo quando la loro presenza ostacola il lieto fine della compravendita di un lotto di terra (su cui sorgono le loro case) a qualche multinazionale tanto cara al mondo occidentalizzato. Ci sono donne, uomini e bambini il cui cammino di lotta si muove al di fuori dei riflettori della grande comunicazione ma che hanno deciso di farsi sentire coi propri mezzi e con tutte le forze. Nell’estate del 2010 eravamo lì per ascoltarli e aiutare a diffondere il verbo.
Ed è esattamente quello che stavamo facendo il fatidico giorno del pasticciaccio: stavamo intervistando gli speaker radiofonici e gli attivisti locali, mangiando caldo de pollo a tavola col sindaco dell'aldea e a tutti questi coraggiosi combattenti. Poi, belli sazi e sotto una pioggia torrenziale, abbiamo cominciato la discesa verso la nostra base d'appoggio ai piedi del monte, finché non ci ha sorpresi la valanga.
Quando il boato della montagna che si sgretolava ci ha costretti a uscire dal piccolo van su cui viaggiavamo, l’unica cosa sensata che ci è sembrato di dover fare è stata quella di correre, a tentoni, urlando come invasati.
Vi assicuro che non è facile darsela a gambe al buio, col fango alle ginocchia e con il rumore degli alberi che si sradicano dal terreno e ti rotolano a fianco; non è facile trattenersi dal masticare imprecazioni e non è facile trattenersi dal pensare che forse al pomeriggio, mentre si stava salendo, ci si sarebbe potuti preoccupare un pochino più seriamente del fiume di detriti che si andava ingrossando nella carreggiata invece che continuare a cantare Bella Ciao a tonsille spiegate.
Ricordo tutto come il peggiore degli incubi ma ricordo che, sopra ogni cosa, volevo vivere e volevo che tutti uscissero vivi da quel delirio. E così è stato. Siamo riusciti a raggiungere la strada, siamo stati abbastanza fortunati da trovare una macchina e abbiamo implorato la donna gravida alla guida di aiutarci. La santa creatura non solo si è presa cura di noi portandoci a gruppi di tre al villaggio più vicino, ma ci ha fatti sistemare sotto una tettoia, ha fatto aprire un paio di negozi per permetterci di comprare vestiti puliti e tequila in quantità adeguate all’occasione e infine si è assicurata che avessimo il necessario per passare la notte all’aperto.
Mentre al mattino ci svegliavamo con i postumi di una sbronza magistrale e vestiti da mariachi in giorno di festa, ammaccati ma illesi, ho immaginato che quella cara Madonna fosse già a lavoro con la schiena china sul fuoco a far tortillas, nonostante la notte di veglia. E così era.
Mi piacerebbe dirvi che dopo questa vicenda abbiamo vissuto le settimane successive all’insegna della morigeratezza ma la verità è che ci sono state altre dis-avventure che comunque non hanno vietato a (quasi) nessuno dei presenti alla spedizione di ritornare anche gli anni successivi. Onestamente, non c’è nulla di veramente eroico nell’esporsi al pericolo ma in alcuni di noi esistono delle leve motivazionali molto forti che non si riescono a spiegare e che ci spingono a fare delle cose che sentiamo giuste, costi quel che costi.
Ci sono dei rischi che anche dei signori nessuno, come me, armati solo della propria gioventù e di grandi ideali, si sentono in dovere di correre; perchè quando ti accorgi che la tua voce da signor nessuno unita a quella di tanti altri signori nessuno fa rumore, allora ti rendi conto che trovarsi in mezzo a una valanga nel buccio di culo del Messico vale la pena, e ne varrà sempre la pena finchè ci saranno dei diritti umani da difendere.
Se volete saperlo, se dovessi scegliere un’esperienza che rifarei a occhi chiusi sarebbe proprio quella di andare a sguazzare in quelle montagne fangose e friabili solo per avere di nuovo l’onore di stringere le mani di quelle signore e quei signori che, sul trespolo degli Altos guerrerensi, scrivono ogni giorno la storia del loro popolo con fierezza e determinazione.
Rifarei tutto da capo e racconterei di nuovo, senza pudore, di come quella volta dell’estate 2010, nel mezzo di un derrumbe, ho riempito i pantaloni di fifa. Perché, in fin dei conti, a tutti piacerebbe mostrare solo la parte glitterata delle proprie imprese ma pochi hanno coraggio di confessare che a volte, nostro malgrado, quello ci fa sentire più vivi e più umani è un bacio veloce con la morte.
Grazie anche a Gaia, per cui avevo scritto una versione più intima e più breve di questo episodio nei Quadernetti “premio” della lotteria mensile, e che ha acconsentito a pubblicarne alcuni stralci.
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Martina