Da dove nasce l’idea di un viaggio? Cosa ci spinge a scegliere una meta piuttosto che un’altra? Nel nostro caso, la Nuova Zelanda ha preso vita prima nella pancia, con un desiderio condiviso, e poi nella mente, con un progetto ancora più condiviso e formalmente noto come luna di miele.
A 18.527 km dall’Italia, diversi fusi orari e a più di ventiquattro ore di volo, la Nuova Zelanda è il posto più ambito per chi vuole passare un po' di tempo fuori dai circuiti mondani. Caso vuole che sia anche il luogo da noi scelto per testare la solidità del nostro recente matrimonio.
Prendete una coppia fresca di unione, gettatela dall’altro lato del mondo, stipatela con pochi averi dentro un furgoncino 5mx2m e ne otterrete due persone euforiche, prive della minima intenzione di tornare da dove sono partiti.
Questa impresa, nei suoi primi due mesi di rodaggio, prevedeva l’esplorazione delle due isole neozelandesi a bordo di un piccolo ma solidissimo volkswagen transporter camperizzato, in cui abbiamo condiviso migliaia di chilometri, paesaggi fiabeschi e trekking memorabili.
Vivere in Van significa svegliarsi ogni mattina in un posto diverso, essere liberi di scegliere quando e dove fermarsi; vivere in uno spazio ridotto ti insegna a capire cosa è essenziale e cosa è superfluo sia nel Van che nella vita quotidiana.
Quella piccola roccaforte di acciaio inossidabile con le portiere a pois colorati, battezzata I-Van-O, è stato un maestro formidabile, una casa, un fedele compagno di avventure e un esempio di stoicità inarrivabile.
Chi non ha mai sentito ruggire il motore stanco di un transporter di vecchia generazione non può capire quanto sia bello arrivare a destinazione illesi, con ancora il brivido dell’incognita sulla pelle.
Non è facile riassumere quei sessanta giorni in poche righe e sono certa che nessuna parola sarà mai sufficiente a riportare con esattezza quei colori, quegli odori, quelle emozioni che ci hanno fatto sussultare ripetutamente, quel sentirsi ricettivi, presenti.
Dovendo fare una scelta, ho pensato alle esperienze che mi sono rimaste particolarmente nell’anima, quelle che sono state allo stesso tempo fonte di gioie e tribolazioni, ma con prevalenza di gioie.
Vi parlerò quindi delle escursioni, questi clamorosi esempi di eccessiva fiducia nelle proprie capacità. Imprese fisiche compiute tra sudori, lamenti, crampi, vesciche di ogni forma e colore; che finché ci sei dentro ti dai dell’incoscente, ti chiedi chi te l’ha fatto fare, ti ripeti che non accadrà mai più, che la prossima vacanza sarà all'insegna di palmeti e cocktail esotici.
Ma poi c’è sempre un momento in cui rinsavisci e cominci ad apprezzare la magia che ti ha circondato per giorni, ti senti onnipotente e illuminato. Questo preciso momento coincide di norma col ritorno a casa quando, finalmente al riparo dalle intemperie e dalle fatiche, racconti le avventure al tuo gruppo di amici come un profeta in patria, omettendo dettagli vergognosi come la volta in cui hai dichiarato - tra le lacrime - “io torno in taxi”.
Ed è con la sfacciataggine del sopravvissuto e la spocchia del miracolato che vi racconto quanto segue.
Premessa: le Great Walks
La Nuova Zelanda è la meta perfetta per gli amanti dell’escursionismo e delle attività outdoor, grazie ai suoi innumerevoli parchi naturali e alla vasta estensione delle aree protette, che rappresentano il 32% del territorio; è soprattutto nota per le sue nove Great Walks: itinerari selezionati per l'eccezionale qualità e varietà dei paesaggi e per i diversi livelli di difficoltà che propongono. La loro organizzazione meticolosa prevede un accesso regolamentato da prenotazione obbligatoria, tariffe variabili per il pernottamento nei bivacchi e infine la registrazione presso i vari centri del Department of Conservation, l’ente che gestisce e conserva la maggior parte delle riserve naturali.
Se di primo impatto questa rigidità può sembrare eccessiva, nella pratica è un sistema molto efficace per contenere il grande flusso del turismo di massa, e quindi preservare le biodiversità di un Paese strettamente connesso al suo fragile ma meraviglioso ecosistema.
Partiamo!
Great Walk #1 – Gennaio 2019
Abel Tasman Coast Track
La Nuova Zelanda è una terra lussureggiante in cui le montagne passeggiano a braccetto con il mare e le foreste si affacciano su spiagge dorate. L’esempio più emblematico di questo sposalizio è, a mio avviso, il Parco Nazionale di Abel Tasman, scelto come teatro della nostra prima Great Walk.
L’Abel Tasman Coast Track è un tracciato di 54 km percorribile dai 3 ai 5 giorni che scorre lungo la costa del parco nazionale che porta lo stesso nome, situato nell’angolo nord-occidentale dell’Isola Sud.
Il sentiero è un piacevole susseguirsi di salite e discese nel mezzo di verdissime macchie di felci che fanno capolino sulle spiagge isolate della Golden Bay, in cui una lunga giornata di cammino può essere seguita da un bagno tonificante nelle acque turchesi del mare di Tasman.
Trattandosi di un itinerario costiero, è necessario tenere sotto controllo l’andamento delle maree e programmare alcuni attraversamenti solo in condizioni di sicurezza, una volta sincronizzati gli orologi non resta che proseguire nella direzione segnalata e godersi l’enorme distesa di conchiglie che attendono l’arrivo dell’acqua.
Ed è proprio la vicinanza al mare il motivo per cui abbiamo peccato di superficialità e leggerezza, sottovalutando alcuni aspetti tecnici molto importanti: i percorsi di più giorni sono attrezzati solo con servizi basilari ed è quindi necessario portare con sé tutto l’occorrente dal sacco a pelo al fornelletto, dalla tenda al cibo e all’acqua per tutta la durata dell’escursione.
Con queste premesse e con la baldanza di chi ha il solletico sotto i piedi, ci siamo piegati sotto uno zaino troppo pesante, ci siamo sciolti sotto una calura tropicale, per finire vittime delle zanzare e della loro parentela locale chiamate sand flies, terribili creaturine di matrice squadrista annidate tra i granelli di sabbia.
Adoro edulcorare questi aneddoti dicendo che si è trattato di errori grossolani da cui abbiamo imparato molto ma che non ci hanno impedito di beneficiare del cantico della natura. Tutto assolutamente vero, con tre piccole, doverose, postille:
1) la tenda che nella pubblicità si monta da sola funziona esattamente così, salvo poi che a richiuderla ci vogliono minimo tre anni di palestra alle spalle;
2) l’unico spray per le zanzare che funziona è quello che uccide anche i cristiani;
3) al demonio i pasti pantagruelici, l’unica cosa di cui hai veramente bisogno dopo una giornata a sfacchinare per monti è una bottiglia di vino, forte, grintoso, corroborante, sincero.
Imprevisti o meno, Abel Tasman rimane il primo, indiscusso, grande amore.
Ogni escursionista, per quanto tormentato da giunture doloranti e dalla pelle erosa dal sole, a fine viaggio vi dirà di voler assolutamente tornare.
Noi siamo tra quelli.
“Tra due alberi c’è una porta attraverso il bosco e attraverso noi stessi”.
ha scritto Jeff, poeta errante incontrato per quelle vie.
Mi piace pensare che questo biglietto, come tanti da lui scritti e lasciati tra i boschi, sia ancora li. Che continui quel lento processo di pacciamatura, quel trasformarsi del suolo in un morbido tappeto su cui ogni anno passano i piedi stanchi dei viandanti. O che sia stato raccolto da uno di loro e continui a dispensare il suo insegnamento, magari conservato tra le pagine di un libro oppure circondato dall’abbraccio di una cornice di legno. A noi rimane una foto, assieme alla certezza del ritorno.
Questa prima cartolina dalla Nuova Zelanda termina qui, ma il viaggio proseguirà la settimana prossima, venerdì 21 ottobre.
Vi porterò tra le alte vette del Kepler Track, sferzate dai Quaranta Ruggenti, e i paesaggi vulcanici del Parco Nazionale del Tongariro.
Statemi bene, state in cammino.