Londra, provincia di Roma
Creature fantastiche e dove evitarle: l'italiano all'estero
Ciao, stai per leggere il nuovo post dei Quadernetti per la rubrica Notizie dall’isoletta, un tributo alla mia verdissima patria adottiva, l’Inghilterra.
Buona lettura!
Soundtrack consigliata: Gaber - Io non mi sento italiano
Prima di iniziare a parlare della mia tanto cara isoletta, si fa doveroso contestualizzare la mia presenza qui, ma soprattutto la presenza degli altri 146mila residenti in UK ma nati in Italia.
Sono arrivata in Inghilterra per ricongiungermi ad Alexis nell’ottobre 2020, il periodo in cui tutti ci stavamo tenendo aggrappati a quei pochi sogni rimasti dopo il colpo basso del Covid. I mesi successivi sono stati una giostra infernale di lockdown, traslochi, scartoffie e Brexit; mai si era visto un periodo tanto infausto in questa nazione così mite. Eppure l’abbiamo spuntata e, passando per il rotto della cuffia sotto le fessure di ogni porta, siamo riusciti ad avere il nostro pre settled status riducendo al minimo la smadonnata collettiva post sfacelo-Brexit.
Dovete sapere che dopo l'uscita del Regno Unito dall'Ue e dal mercato unico è finita la pacchia, e quindi la libera circolazione europea, soprattutto quella dei cittadini. Se in passato molti italiani tendevano a non registrare la loro residenza al consolato, dopo Brexit si è fatto assolutamente necessario dichiarare tutto il dichiarabile. Così, con l’acqua a livello della giugulare, un alto numero di residenti non ufficialmente palesati hanno dovuto emergere dall'oblio e iscriversi al programma Settlement Scheme del governo britannico. In questo frangente, si è scoperto che gli italiani in gita permanente a Londra erano ben più di quelli che ci si immaginava, superando addirittura i compagni indiani sul podio.
L’italieno
L’italiano all’estero, dall’Inghilterra alla Nuova Zelanda, è spesso preceduto dalla fama di grande lavoratore. Italiano Venerabile Stacanovista.
Vi basterà sedervi in qualsiasi cafè, bar o ristorante dove sia in servizio un italiano e noterete l’alone di instancabilità che emana. Veloce, rapido, efficiente, l’italiano che esce dai confini nazionali vuole lavorare e la maggior parte delle volte viene accontentato all’istante. Gli viene dato un lavoro ed egli lavora sodo e a testa alta, con altri colleghi italiani. Partecipa a corsi d’inglese, assieme ad altri italiani e nel mentre, va ad abitare in appartamenti condivisi con italiani. Interagisce con gli amici degli amici, a loro volta inevitabilmente italiani. L’italiano e gli amici italiani fanno festa in case che battono bandiera italiana, brindano con vino italiano e mangiano cibo italiano guardando film in italiano. Escono a caccia di merendine umane con altri italiani e, se non riescono ad accoppiarsi per mancanza di altri italiani appetibili in giro, bussano alle porte di Tinder, cliccando perlopiù su profili di connazionali italiani. Se la fame è tanta è probabile che si accontentino anche di merendine autoctone, sperando che almeno abbiano fatto l’Erasmus in Italia.
Sto esagerando? Sì.
Si tratta comunque di fatti oggettivi e verificabili? Sì.
In un modo o nell’altro ognuno cerca il suo lieto fine anche all’estero e la ruota torna a girare sempre più vicina alla Casa Madre, l’Italia, dove prima o poi l’italiano fuori sede farà il suo ritorno da vittorioso profeta in patria*, con l’accento più italiano di prima.
Fateci caso, perchè è molto importante capire le dinamiche sottese a questo modo di essere così ostinatamente italiani, soprattutto all’estero. Atteggiamenti di questo tipo non sono solo nostra peculiarità, ma accomunano tutte le culture e fanno parte di una serie di fenomeni ben noti in Geografia Umana e che gravitano attorno ai termini eterotopia e politopia, per cui il bisogno di affermazione della propria identità culturale porta gli immigrati a farcire la propria esistenza nel paese ospitante con simboli e valori che rimandano alla cultura di origine.
Sono quasi certa che Foucault, quando ha coniato il termine eterotopia, non abbia detto esattamente farcire, quanto a tutto il resto potete trovare un buon resoconto del suo pensiero qui.
Londra, in modo particolare, si presta a meraviglia a un’indagine umanistica a partire da queste premesse, ma soprattutto è un luogo-non-luogo in cui avrete modo di vedere in azione queste creature fantastiche in tutta la loro italianità. Starà a voi farvene un’idea. Non ci sono buoni e cattivi, ma solo italiani e italieni.
Creature fantastiche e dove evitarle
Ho conosciuto molti miei connazionali in questi due anni e mezzo in Inghilterra, e, senza nulla togliere alle tenere personcine qui conosciute, che rispetto e stimo, devo ammettere che non sono una grande fan del panino portato da casa. Mi spiego: è mia personale opinione quella per cui se decido di sedermi a una tavola straniera lo faccio con il proposito di mangiare cibo locale, e più immersiva è l’esperienza più sento di aver innaffiato il seme della curiosità che alberga in me e che mi muove per le vie del mondo. Partendo da queste premesse, non posso fare a meno di rispettare le esperienze di chi, nella mia stessa situazione di expat, preferisce contaminarsi il meno possibile con la cultura ospitante. Allo stesso modo non posso fare a meno di evitare quelle particolari tipologie di expat che descriverò di seguito.
Le creature che temo di trovare lungo il mio cammino incerto di expat sono divisibili in tre categorie, facilmente incontrabili ad ogni latitudine.
Categoria n.1: Italiana annoiata con suv del marito
Segni particolari: propaga sconforto
Il mio primo incontro ravvicinato è avvenuto in un parcheggio di Sainsbury’s a Market Harborough, la ridente cittadina che mi sta donando i natali più felici e pacchiani della mia vita. Contesto: ci stavamo avviando verso la nostra macchina parlando a tono di voce medio bassa, quando ecco che dal finestrino di un suv grande quanto l’Ontario esce una voce caustica che grida: italiani! e, senza preamboli, innesca un monologo di infelicità contagiosissimo, capitanato dalla domanda anche voi vi trovate male qui?, che solitamente non accetta altre risposte al di fuori di quelle affermative.
Categoria n.2: Italiana inacidita a spasso per negozi
Segni particolari: mangia british pies ma sogna ‘u babbà
Il secondo incontro è avvenuto in panificio, dove due allegre signorotte perdigiorno, di quelle in tenuta da jogging e con la faccia perennemente inacidita, stavano elencando le date delle loro vacanze annuali - tutte rigorosamente in patria - avendo cura, nel farlo, di esaltare ogni possibile difetto della stagione estiva in Gran Bretagna, e della Gran Bretagna in generale.
Categoria n.3: Italiano confuso in trasferta
Segni particolari: fa il pendolare, dall’Inghilterra all’Italia
Il terzo incontro ravvicinato avviene a cadenza costante e si tratta di una persona a noi molto cara, di buon cuore e di animo nobile, che se non fosse per l’indirizzo di residenza si direbbe che abiti a Market Harborough in provincia di Roma. Un soggetto singolarissimo che ai tempi d’oro, dall’Italia, si faceva spedire persino il tonno in scatola e che guarda Forum su rete 4 dalla tv italiana via cavo.
Vita e miracoli del profeta in patria
Il problema in tutto questo, a mio dire, è che poi il profeta in patria* di cui si parlava all’inizio, rischia di fraintendere il proprio ruolo nel mondo e comincia a dispensare osservazioni poco liete a chi invece è rimasto a casa, altrettanto vittorioso, a combattere con le fatiche quotidiane che noi expat abbiamo solo trasferito in altri lidi. Parliamo di frasi tutt’altro che motivazionali come Ma come fai a stare ancora in Italia? e Che paese incivile, e Ma qua da voi non cambia mai niente.
Il biasimo e contemporaneamente l’adulazione per la terra natia è un pò la brutta copia adulta del complesso di Edipo, solo che dopo una certa, a non uscirne mai si tende a risultare indigesti.
L’altro problema è un paradosso per cui quando l’italiano torna in patria per le vacanze, tronfio di orgoglio internazionale, abusa del da voi per additare gli italiani che sono rimasti; quando invece sta al di qua della Manica è tutto un da noi detto con l’aria nostalgica di chi ha il cuore da un lato e il cervello da un’altra. Quello che ho scoperto nelle mie interazioni con queste creature bizzarre è che a volte cuore e cervello non comunicano, mentre altre volte per tentare di farli comunicare si fa il giro lungo, passando prima dal culo.
E io, che tipo di italiana sono? Me lo chiedo di continuo e altrettanto di continuo spero di non entrare nelle tre categorie descritte sopra. Ho pochi amici locali ma davvero buoni. Ho un accento veneto piuttosto marcato che stride anche quando parlo in inglese. L’inglese continua ad essere il mio tallone da killer e ogni giorno lotto con le difficoltà nel farmi capire in una lingua che non solo non è la mia, ma a volte mi è pure ostile. Ma se sono qui è perché ho scelto di rimanere e costruire qualcosa di buono, quindi accetto gli alti e bassi e abbraccio la cultura locale, con i suoi momenti di grazia e le sue storture. Cerco di stare sempre in punta di piedi perché così mi hanno insegnato a fare quando si entra in una casa che non è la nostra ma che ci accoglie come una madre. Evito gli italiani ma li stimo, perché hanno sempre le maniche rimboccate e quello che fanno lo sanno fare bene, specialmente il lamentarsi, sport nazionale che abbiamo l’abilità di fare eccellere ovunque.
«In Inghilterra l’equilibrio ce lo devi avere dentro» ha detto una mia cara amica.
Eccolo quell'equilibrio: sta in quella faccia tra le mani, nella finestra rigata dalla pioggia e in quel dondolo puffy e sornione.
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