Fun fact: Questo è stato il mio primo esercizio per il corso della Scuola Holden “Scrittura e giornalismo culturale” con i grandissimi Giorgio Vasta e Giuseppe Lorenti.
In un testo di circa 2000 battute Giorgio Vasta ci chiedeva di varcare una frontiera simbolica, che separa il soggetto da qualcosa o qualcuno; io ho scelto l’armadio e la mia immaginazione l’ha aperto per scoprire alcuni gesti di cui sarebbe bello sentir parlare più spesso: l’amore ai tempi della terza età.
Buona lettura!
Sapore di sale
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Correva l’estate del 1994, avevo otto anni e tutta la curiosità del mondo. Mi trovavo in visita dai nonni materni, in una casa di campagna piena di armadi, anfratti e ripostigli; nell’immaginario di ogni monella come me, luoghi di questo tipo rappresentavano il più godereccio dei passatempi. Per quanto mi riguarda, nascondermi nei cubicoli e uscirne urlando era tra gli sport che preferivo, più lo spavento provocato era grande più era sonora la mia risata. Così accadde che, in un noioso pomeriggio di agosto, mi intrufolai nella camera padronale e presi posto dentro al guardaroba, tra coperte di stagioni migliori, cappotti che sapevano di naftalina e asciugamani che graffiavano la pelle. Aspettai per un po’ ma, dato che non si vedeva arrivare nessuno, mi accoccolai e il sonno ebbe la meglio; mi svegliarono il cigolio della rete a molle e il ronzio del ventilatore. Orientai la vista nella penombra finché non fu chiaro che sotto le lenzuola accadeva qualcosa di insolito e di animale. Decisi di rimanere all’erta e, al termine di quella grottesca danza dei corpi, vidi il profilo del nonno staccarsi dalla cornice bianca del materasso e separare le due brandine. Terminato anche questo strano rituale si distese con un grugnito e allungò la mano per raggiungere quella di nonna. Le due braccia si unirono e presero ad oscillare come se camminassero beati in posti che a me non era concesso vedere. Quando fui sicura che i nonni dormivano mi decisi ad uscire, determinata a raccogliere indizi sullo spettacolo a cui avevo assistito. Mi avvicinai a uno dei due letti e frugai per cercare il contatto con le superfici, sfiorando prima un cuscino, poi alcuni ciuffi di capelli radi e alla fine una fronte ampia e velata di sudore; vi posai le labbra fino a sentire la sapidità delle nuotate al mare e chiusi gli occhi, abbandonandomi a corroboranti visioni estive: i miei goffi braccioli arancioni, il mio primo costumino a due pezzi e la santissima trinità composta da sabbia, paletta e secchiello. Fu proprio mentre mi deliziavo nei ricordi che cinque dita ruvide mi afferrarono il polso. Sentii la faccia avvampare e le orecchie bollire come teiere a dicembre. D’istinto trattenni il respiro ma non mi riuscì a lungo perché una voce, impastata dal torpore, pose fine alle mie tribolazioni:
«Ada, ti amo».
Una citazione e un consiglio letterario
Ester Viola un giorno ci chiese di nominare tre libri che avremmo tanto voluto scrivere noi.
Tre uomini in barca, per non parlar del cane (Jerome K. Jerome – 1889) si è aggiudicato il podio della mia top three, perché il giorno in cui riuscirò a far ridere o anche solo sorridere così tanto un lettore, allora sentirò di aver vinto tutto nella vita.
Il tema sembrerebbe banale: una gita in barca di tre uomini e il loro cane. Banale se non fosse per la meticolosità con cui J.K.J. ci restituisce la vivacissima caricatura di ognuno dei protagonisti, senza mai penalizzare gli altri. Tre personaggi che più diversi non si potevano pensare, assieme e un cane così ben descritto che sembra quasi di sentirlo abbaiare.
«I fox-terrier nascono con un peccato originale quattro volte maggiore di quello degli altri cani e per ottenere mutamenti tangibili nei loro istinti di autentici teppisti ci vorranno molti e molti anni di sforzi pazienti da parte di noi cristiani. (…) Quando Montmorency incontra un gatto, la strada intera deve saperlo, e in dieci secondi, di parolacce se ne sprecano tante che, se usate con giudizio, potrebbero bastare per tutta la vita di una persona rispettabile.»
Fun Fact: L’edizione pubblicata da Rizzoli è stata illustrata da un’artista padovana di cui ho avuto l’enorme piacere di essere allieva qualche anno fa: Maria Sole Macchia.
Sezione a sorpresa – Opera d’arte
Ho pensato che, visto che sei arrivatə fin qui, potevo fare qualcosina in più. Così ho creato una sezione non prevista nelle tre pensate in origine. Questa settimana ti mostro un’opera d’arte, The Roses of Heliogabalus (1888) di Lawrence Alma-Tadema.
L’ho pescata dalla pagina Instagram Peaceful Artworks, che mi da sempre grandi soddisfazioni.
Perchè ho scelto questo dipinto? Ve lo spiego appena dopo l’immagine.
Il dipinto mostra un gruppo di commensali romani a un banchetto, sommersi da cumuli di petali di rose rilasciate dall’imperatore Eliogabalo nel tentativo di soffocarli.
Un plauso quindi a Eliogabalo, che reagisce un po' come chi si trova a dire la classica frase di circostanza «è un sacco che non ci vediamo, dai magari un giorno venite a bere un caffè da me». In realtà lo dici perchè sei cresciuto a pane e convenevoli, e in cuor tuo non credi che l’interlocutore sia capace di accettare la tua offerta, ma poi un giorno te lo trovi davvero in casa e tu non sai come gestirla, così imbastisci una slavina di rose.
Alla tua, Eliogabalo!
Grazie per aver dedicato del tempo alla lettura di questo blog, per me significa molto. Presa dall’entusiasmo dell’esordio ho voluto fare un “buona la prima” e non ho setacciato il testo alla ricerca di refusi e orrori grammaticali, quindi è molto probabile che ce ne siano in abbondanza!
Martina