Fun fact: questo è un altro esercizio di scrittura proposto da Giorgio Vasta alla Scuola Holden. Il titolo era “Frontiera e/è legame verticale - dall’alto in basso” e, in un testo di circa 2000 battute, ci esortava a varcare una frontiera immaginaria, posta fisicamente al di sopra della testa del protagonista.
Mi sono permessa di prendere un fatto di cronaca, molto discusso all’epoca - l’anno era il 2020 - e ho lasciato correre l’immaginazione.
Buona lettura!
Il mondo fuori
Tempo di lettura: 2 minuti
Soundtrack consigliata per la lettura: Yann Tiersen - Monochrome
È sdraiata ad occhi chiusi e ascolta la pioggia cadere sul tetto. L’unico ostacolo, tra lei e il cielo, è la superficie piatta di una lamiera. Sente il rintocco delle gocce sopra la testa e spera di addormentarsi prima che il loro rumore, lento e continuo, cominci ad angosciarla. I pensieri la incalzano ma non riesce ad afferrarli. Così, le immagini della folla al mercato di Mombasa si mischiano a quelle del centro di Milano, i fotogrammi del compound a Nairobi si confondono con quelli dell’appartamento della nonna a Bisceglie. Dopo diciotto mesi di prigionia, la ragione fatica a rimanere salda e anche un evento banale, come un temporale, le sembra un’allucinazione. Il tempo si sbriciola, tagliato a fettine dai tuoni e dai passi dei miliziani all’esterno del container. L’eco dell’acqua rimbalza da una parete all’altra deformando la percezione degli spazi. Alla traiettoria orizzontale del suo corpo supino s’intreccia il tragitto verticale di una mente che inizia ad affondare, persa nel suono liquido di una realtà surreale. La gamba, sospesa tra letto e pavimento, dondola in sincrono con il moto ondoso del vento. Lo sguardo è vuoto, ancorato ad un punto casuale del soffitto.
«Sara» mormora qualcuno poco lontano. Ma lei non capisce da dove proviene la voce. È passato molto tempo dall’ultima volta che l’hanno chiamata per nome, per più di sessanta settimane è esistita solo come prigioniera, come appendice senza identità. «Sara» dicono ancora, e si sorprende a constatare l’inconsistenza della parola.
«Sara, ti portiamo a casa.»
Una mano, dall’alto, emerge dal buio e la invita verso un cortile luminoso, dove una fila di jeep blindate la attende con i motori accesi. Un lampo cala dal cielo come una frusta e in quel bagliore vi legge il preludio a scenari futuri: flash di fotografi, il buio attorno; gente che parla, pochi che ascoltano; spiegazioni da dare, poca voglia di farlo; tanti che guardano, nessuno che vede; tutti che giudicano, pochi che indagano.
«Grazie, no.» si sente rispondere.
Di quel giorno ricorderà soltanto gli occhi increduli del militare, la botola che si richiude sopra la sua testa e il rumore della pioggia sul familiare tetto di lamiera.
Breve riflessione
Cosa succede se al corso della storia cambiamo il finale?
Questo racconto, nella sua versione iniziale, terminava con la prigioniera che, finalmente liberata, se ne tornava a casa. Punto. Il geniale Giorgio Vasta, discutendone, ci ha ricordato che le potenzialità dell’immaginazione sono infinite.
In narrativa, infatti, la finzione ci permette di pensare, immaginare e descrivere gli scenari che più ci aggradano.
Ed è così che il personaggio “Sara” - volontaria italiana rapita da miliziani Somali - immagina la nuova vita fuori dal suo bunker e, proprio quando il suo liberatore le tende la mano per farla uscire, decide di non voler esere salvata. Sara rifiuta l’aiuto del soldato perché intuisce che fuori da lì potrebbe non sentirsi più a suo agio. Sente di essere profondamente cambiata ed è certa che il mondo non sia pronto ad accogliere il suo cambiamento.
Quest’ultimo punto prendetelo come un’ulteriore riflessione su come il mondo, nella fattispecie quello mediatico, ha reagito al cambiamento della protagonista della storia “reale”.
Una citazione e un consiglio (non) letterario
Per la lettura del racconto “Il mondo di fuori” vi consigliavo l’ascolto del brano Monochrome composto da Yann Tiersen e cantato da Dominique A. Ora vi consiglio di riascoltarlo seguendone il testo e la traduzione che troverete nel link di sotto.
Monochrome non è altro che la descrizione, delicata e per nulla banale, della depressione - white disorder.
Nonostante lo spessore del tema, musicalmente parlando ci troverete le melodie e le atmosfere incantate tanto care a Tiersen che, tra le altre, ha composto la colonna sonora del film “Il favoloso mondo di Amelie”.
Sometimes I open the windows
talvolta apro le finestre
And listen people walking in the down streets.
e ascolto le persone camminare per strada
There is a life out there.
c'è una vita lì fuori
Grazie per essere arrivat* fino a qui. Mi piacerebbe ricambiare tanta cortesia con degli scritti che riescono a suscitare emozioni, riflessioni, che muovono qualcosa dall’interno. Fammi sapere con un messaggio, un commento, una mail, se sono sulla strada giusta. Se ti senti in vena di buone azioni puoi anche condividere questo blog servendoti del link qui sotto.