Soundtrack consigliata: Muchachito Bombo Infierno - La Quiero A Morir
Cos’è il viaggio? Come ci cambia?
Ho sempre pensato che viaggiare fosse uno dei tanti modi che abbiamo per interpretare l’universo intorno a noi. Ho scoperto che, in realtà, è ben di più.
È un’onda che travolge. È un petalo di mare. È l’azzurro dei nostri sogni. È il moto ondoso dei nostri pensieri. È l’evanescenza delle nostre paure.
Credevo che ogni passo avanti fosse un passo in più verso la nostra vera essenza. Camminare per poi alla fine tornare a casa. Un perdersi per ritrovarsi.
Ammetto che, stavolta, invece di ritrovarmi mi sono persa. È stato come se, una volta seduta davanti a quel banchetto tropicale, mi fossi resa conto di non avere più appetito.
Come mi spezzano queste latitudini, quanto mi spingono al limite!
Nel “Mirador” scrivevo:
Anche quella donna lo sa, che questo paese ti spoglia di ogni certezza, ti veste di colori vivaci e ti schiaffeggia con i suoi luminosi contrasti. Sa che è capace di puntare i riflettori sulla pelle bianca dello straniero e gettare nell’ombra il suo infelice passato.
Ed eccoli davanti a me, quei riflettori. Bruciano, mi incendiano le ferite. Mi sento vulnerabile di fronte a quella luce incandescente. Incanto e illusione, tinte forti e scale di grigio, mariachi e reggaeton, pudore e noncuranza.
Quest’ultimo Messico mi ha lasciata con molti dubbi e poche certezze. Tra tutte, la certezza che, questa, è stata l’ultima volta.
Sono cambiata io o è cambiato lui?
Non è cambiato nessuno dei due?
Siamo cambiati, troppo, entrambi?
Forse è che, semplicemente, abbiamo preso due diverse direzioni.
Non si può spiegare, succede e basta. Si viaggia per tornare diversi, e così è.






Cosa ci dice di noi un luogo in cui ci siamo sentiti a casa tanto tempo fa e in cui ora ci sentiamo stranieri? Che siamo in costante evoluzione e che, con tutta probabilità, non ci fermeremo, niente ci fermerà. Così è la vita, quello che ieri calzava a meraviglia, ora ci risulta stretto. Quello che ieri era amore disperato, ora è semplice fratellanza.
E il Messico ancora una volta insegna, nel bene e nel male, nei suoi colori e nelle sue ombre, nella sua vita e nella sua morte, nel suo ieri e nel suo domani.
Ora so che quello che cercavo in quel mare così perfetto, in quella giungla così silente, in quelle cavità sotterranee così pure, in quelle pietre così eloquenti, era solo una crepa, un’incompatibilità, la conferma di un addio. Ho trovato tutti e tre. Ho trovato la me stessa di dodici anni fa, il suo orgoglio, le sue paure, le sue fragilità. Ho osservato la mia immagine nello specchio delle prime volte, ci ho sputato sopra, l’ho pulito e mi ci sono guardata di nuovo attraverso. La mia immagine dal futuro mi è rimbalzata addosso e ha cominciato a camminare con me, a spasso nel tempo.
Nel suo Le antiche vie. Un elogio del camminare, MacFarlane afferma che troppo spesso pensiamo all’effetto esercitato da un paesaggio su di noi quando ci siamo immersi.
«Ma esistono anche i paesaggi che portiamo con noi in absentia, i posti che continuano a vivere a lungo nella nostra memoria quando non siamo più li, e questi luoghi - nei quali ci ritiriamo tanto più spesso quanto più ne siamo lontani - sono tra i paesaggi più importanti che abbiamo dentro».






Sta tutto li, in queste parole, il mio Messico.
«Gli uomini sono animali, e come tutti gli animali anche noi quando ci spostiamo lasciamo impronte»
Mi viene da aggiungere che, molte volte, quelle impronte stanno proprio in un incontro casuale, in un quadro, in una poesia, in un diario condiviso con i propri compagni di avventure.
Sta nelle persone, nelle impronte di luce che ogni contatto umano si lascia alle spalle.
Ci sono state folgorazioni, epifanie e scintille dietro ogni angolo: nell’incontro con David Sierra, pittore e rivoluzionario contemporaneo; nella lettura di una poesia di Guadalupe Nettel, prestigiatrice della parola; nei quadri al Museo de la Ciudad a Merida; a tavola con Robert e Axel, maestri della ristorazione e dell’ospitalità; nei bicchieri versati con Sergio, custode della galassia tequilera.
Sono queste le buone anime che hanno fatto la differenza in questi giorni messicani.






Se uno si mette a contare tutti i momenti giusti nel posto giusto invece che i momenti di nera, si accorgerà di quanto siano densi i primi e quanto siano privi di consistenza i secondi. Eppure è pazzesco come siano i secondi quelli che spingono per venire a galla quando dobbiamo tirare le somme.
Posso contare sulle dita di una mano le brave persone che ho conosciuto in questo breve periodo messicano, ed è grazie a loro e a quelle incontrate in altri tempi nelle stesse latitudini, che passato e futuro si abbracciano in un unico ricordo; è grazie a loro che sento ne sia valsa la pena.
Ne vale sempre la pena, anche quando sai che è l’ultima volta.
Grazie per aver dedicato il tuo tempo alla lettura dei Quadernetti.
Ultimamente sembra che la mia massima espressione si verifichi nella rubrica Diari, dove i miei pensieri corrono a briglia sciolta. Li affido a voi, guardiani e lettori di queste pagine. Grazie per essere una comunità così gremita. Grazie per i bei messaggi. Grazie per i continui feedback. È bello viaggiare con voi.
So di aver detto tutto e niente in quest’ultimo post, non è mai facile raccogliere i pensieri, esaminarli, farli nostri e restituirli in maniera coerente. Ci proverò in diverse forme, per consegnarvi un Messico, e un Centro e Sud America, che non si ferma qui, che va avanti e indietro tra il 2009, 2010, 2015, 2016 e il 2022.
Se nel frattempo avete dubbi e curiosità scrivete un commento qui sotto oppure una mail a martina@quadernetti.it.
Che dicembre vi sia lieve.
Tanto cuore.
M.