Ciao, stai per leggere il nuovo post dei Quadernetti per la rubrica Dazebao. Manifesto delle piccole cose che mettono le persone a disagio e di cui non si parla mai abbastanza. Volutamente cringe.
Grandi titoloni per grandi temi in questo Dazebao. Non lasciatevi ingannare dalle etichette: sono solo il pretesto per esplorare i fatti da più punti di vista. Oggi il menù prevede piatti forti come genitorialità, maternità e non-maternità. Parlerò principalmente al femminile, perché questo è l’universo che conosco meglio, ma vorrei che i compagni maschi si sentissero liberi di riconoscersi nelle prossime righe.
Sulla maternità c’è molto da dire, ma essendo questa una rubrica con carattere di manifesto dal basso mi concentrerò sui lati oscuri dell’essere o non essere madri. Dazebao, quindi, come paladino dei piccoli fastidi collettivi, come anti-propaganda del Vangelo secondo gli altri. Quegli-altri: i giudicanti, i saccenti, i distributori di verità assolute e di consigli non richiesti; inguaribili scocciatori, maestri nell’arte dell’imbarazzo, perennemente invadenti e indelicati.
Che tu sia o non sia mamma, arriverà il momento in cui lo sguardo degli altri si poserà sul tuo passeggino o sulla tua pancia vuota, e il loro dito scorrerà indagatore prima da una parte e poi dall’altra, facendoti sussultare i nervi.
Questo momento si fa più intenso soprattutto attorno ai 35-40 in cui, superati i vari scogli del Quando ti laurei? e del Quando ti sposi?, arriva il temutissimo Quand’è che fai un figlio?
Se l’ultima domanda non viene posta è solitamente perché il figlio c’è già e si può dare inizio alla gara di raccomandazioni e suggerimenti a cui tutta l’umanità già-con-figli partecipa con estremo interesse. Interesse che, però, non è sempre reciproco. A tal proposito, di seguito mi toglierò alcuni sassolini dalla scarpa in onore delle mie amiche mamme, a cui dedico la prima parte di questa rubrica.
Tutti montessoriani coi figli degli altri
Girando per parchi giochi, patronati, asili e luoghi di ritrovo per infanti, sembra esserci sempre qualcuno che ne sa più di te e che brama dalla voglia di dirtelo. Qualcuno che sa perfettamente come si cresce un figlio, come lo si educa secondo canoni montessoriani, e che ne fa un vanto e una bandiera. Quando li incontri non hanno quasi mai il bambino appresso e questo è il primo indizio della fregatura; fateci caso: avete mai visto una di queste rispettabili signore che, con un figlio aggrappato alle gonne, sapesse come tenere a bada piagnistei, richieste di attenzione, iperattività e svariate altre esigenze, con più successo di voi? Eppure sulla carta affermano grandi abilità in puericultura. In che sede siano in grado di fare miracoli non è dato sapere, sta di fatto che sono sempre pronte a sciorinare pregi e difetti del parenting per attribuirsi i pregi e caricare i difetti sulle spalle degli altri.
C’è, in queste boriose personcine un qualcosa di sinistro che a saperlo annusare con anticipo ci si toglierebbe subito dall’impiccio. Ma non c’è modo, il loro ego è più grande della tua pazienza.
È importante dire che a molte di loro non importa sapere come stai, come te la stai cavando o che timori hai, quello per cui sgomitano è l’opportunità di dare il loro parere. E, a proposito di timori, quello più diffuso tra le mie amiche mamme, è quello di non essere all’altezza del ruolo, di non farcela e di non essere abbastanza. Stando ai loro racconti, è proprio nei momenti in cui la loro autostima va a nascondersi sotto il livello del mare, che sembra che qualcuno chiami a raccolta per l’occasione tutte le super-mamme del circondario e gliele faccia trovare di fronte, starnazzanti e gonfie di spocchia, in modo che possano sentire amplificato il loro desiderio di lasciare figlio e passeggino e scappare lontane. E invece no, le mie amiche sono guerriere, stanche ma sempre vittoriose, consumate dalle notti insonni di pianti e disperazione, ma pur sempre in grado di tenere testa in ogni battaglia; assecondano questi incontri a colpi di sorrisi, mentre un’ intensa attività esofagea le infiamma dentro. E non è tutto, non solo reggono il confronto, ma poi se ne tornano a casa dove riprendono a intrattenere figlio e partner, facendo finta di divertirsi un mondo. Questa, mie care, si chiama rivoluzione silenziosa.
Educare figli non è cosa facile e chi sono io per continuare a parlarne! Questo discorso introduttivo, che per gli spazi di questa newsletter è già un discorso vero e proprio, non può limitarsi a uno sguardo critico della questione, ma vorrei lasciare la parola a chi nei panni di mamma ci nuota ogni giorno e ne scrive a perfezione, pur nelle sue piacevoli imperfezioni: Annalena Benini e la sua rubrica Il Figlio, in uscita ogni venerdì su Il Foglio, e disponibile come podcast su Storie Libere.
Neocatecumenale servo del capitale
Il non-figlio è un’assenza, e per molti, nel secolo dei tabù 2.0, rimane un’assenza ingiustificata.
Come dare voce a un’assenza? Lasciando parlare chi la vive, ma solo se ne ha voglia. C’è chi però, di fronte al silenzio, non si da pace: ti vedono ultra trentenne, in piena salute, libera e ambiziosa, e la prima domanda che gli salta in mente non è come ci riesci? o come stai? ma “perchè non hai figli?”, come se questa assenza annullasse la pienezza della tua vita. Sentono l’urgenza e il diritto di chiedere. Ed ecco che, anche in questo caso, ritorna la parabola dello sguardo giudicante degli altri.
Parto da un semplice ragionamento: se una donna non ha figli può essere per una serie di motivi che non è nostro diritto sondare. Senza scavare troppo a fondo, i due grandi macro-insiemi dei “perchè” possono essere:
1) non ha figli perché non li vuole;
2) non ha figli perché non può averne.
In ognuno dei casi non si scappa da un nobile imperativo: non chiedere, MAI; lascia piuttosto che ti venga detto. Il secondo imperativo è sinonimo del primo, ed è quello che mi è più simpatico perché volgare e quindi più diretto, ed è un ancor più nobile: fatti i cazzi tuoi, SEMPRE.
Le lotte che gli altri combattono non sono da prendere alla leggera e, poiché in alcune lotte non si è soli, lascio la parola a tre donne che a mio parere la stanno raccontando giusta:
«Ho una diga nella testa dove stanno nascoste tutte le cose che fanno davvero troppo male. Quelle cose, io non voglio dirle a nessuno. Io non voglio pensarle, quelle cose. Io voglio che non siano mai esistite. E se non le dico non esistono . (…) Una donna che non esce più dall’unico pensiero di fare un figlio. Una donna che guarda le donne incinte con invidia. (Sii sincera quando scrivi). Va bene, sono sincera. Io le guardo con odio.»
Antonella Lattanzi - libro “Cose che non si raccontano”
«Passeggini, passeggini ovunque. Un esercito di donne coi capelli corti e uomini stempiati con la panza che spingono passeggini con dentro neonati mostruosi e pieni di amore. E io, io che continuavo a fare le mie cose sempre meglio, sempre guadagnandoci di più, con sempre più persone che mi guardavano e mi amavano. E poi. E poi a un certo punto io mi sono accorta che il tempo passava e che se non mi sbrigavo io, forse, un figlio non lo avrei mai avuto. E se anche mi sbrigavo, poi, non era mica detto. Perché anche quando ti decidi che è il momento giusto poi, magari, il corpo ti fa il dito medio e tu, allora, rimani col dubbio di aver sbagliato, di aver aspettato troppo, di essere una fallita.»
Chiara Francini - Monologo
«Una donna senza figli deve essere compatita. Una donna senza figli è da temere. Le donne che dichiarano di rimanere senza figli vengono scrutinate, sminuite e criticate. "cambierà idea"? È la frase più comune lanciata alle donne che rifiutano la maternità come futuro, rivelando l'impossibilità che la società vede nelle donne che rifiutano di riprodursi e vivere la vita alle proprie condizioni.»
Sandra Singh - Progetto fotografico “You will change your mind”
Avanti tutta!
La metà del gruppo delle mie più care amiche è composta da meravigliose mamme che ogni giorno cercano di dare il meglio di loro stesse come donne e come madri. A loro va il mio più grande brindisi alla vita. L’altra metà è composta da meravigliose donne che hanno scelto di non riprodursi e a queste valorose, che lottano ogni giorno contro la pressione sociale e contro il pregiudizio che una donna senza vincoli matrimoniali e senza prole è sinonimo di incompletezza, va il mio più grande brindisi alla libertà.
Quanto alle persone che si aggirano chiedendo impunemente “e tu quando lo fai un figlio?” va la mia più pesante pacca sulla spalla, per la tenacia con cui continuano a ignorare le motivazioni che possono spingere a non averne.
Quanto a me, il titolo più vicino alla riproduzione che mi si può attribuire al momento è quello di zia, e questo è quanto. Ringrazio chi, nel corso degli anni, mi ha affidato bambini di ogni forma e dimensione investendomi di titoli come babysitter, animatrice, zia e zia al quadrato. A loro va un sentito grazie. Grazie per aver pensato che ne fossi in grado! A tutte loro è dedicato il mio manifesto dei piccoli disagi, simbolo del Dazebao dei Quadernetti.
Ed è subito disagio
quando l’amica mamma ti scarica il neonato in braccio, senza chiedere come va la tua ernia del disco.
quando l’amica mamma ti scarica il neonato in braccio, senza chiedere se prima hai bevuto.
quando l’amica mamma ti scarica il neonato in braccio, e scappa.
quando l’amica mamma parla del peso del figlio esprimendosi in etti e contando l’età in settimane, mentre tu ti immagini golose forme di Grana Padano dop.
quanto l'amica mamma arricchisce la tua galleria messaggi con qualche centinaio di diapositive del pargolo.
quanto l'amica mamma arricchisce la tua galleria messaggi con qualche centinaio di diapositive del pargolo, con focus sui primi tentativi di defecatio sul vasetto.
quando l’amica mamma afferma che tutto quello che esce dagli orifizi del figliolo “è roba degli angeli”.
quando l’amica mamma, dopo che il figliolo ti ha imbrattato il nuovo cardigan con la roba degli angeli, minimizza con “ora il tuo cardigan può solo che migliorare”.
«Diventiamo grandi quando ci rendiamo conto che i nostri genitori sono, in realtà, piccoli come noi: stanno male come noi, sono confusi come noi, sono soli come noi.»
Aftersun, regia di Charlotte Wells
Altre Letture interessanti:
Still born - Guadalupe Nettel
Un ragazzo - Nick Hornby (di cui c’è anche la versione cinematografica)
I figli che non voglio - Simonetta Sciandivasci
Tu, sanguinosa infanzia e Euridice aveva un cane - Michele Mari
(Se volete saperlo il mio racconto preferito in queste raccolte è I palloni del signor Kurz)
Che il weekend pasquale vi sia lieve.
Ci leggiamo venerdì prossimo con la rubrica Travelgram (ex Zingarate)!
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Martina