Soundtrack consigliata: Jovanotti - Ciao mamma guarda come mi diverto
Gennaio è scivolato sopra le nostre carcasse post-natalizie a passo di bradipo.
Credo non ci sia niente di più abbacchiante del vedere le luci delle feste alle spalle e la primavera lontana come un’utopia; ma penso che non ci sia niente di meglio di uscirne illesi dopo il disgelo.
Ed eccoci alle soglie di un febbraio che profuma un pò di aprile, omaggio del riscaldamente globale che piano piano stringe la sua morsa sulle nuove generazioni e su quelle a venire. Intanto io mi sono iscritta alla newsletter di Michele Serra OK boomer per tentare di capire, tra le altre cose, le cause che hanno portato la boomer generation a lasciarci in eredità una Terra mezza arrostita e svariati altri disturbi emotivi che fanno la felicità dei nostri terapeuti.
Approfitto dell’appena citato gap generazionale per introdurre un mio racconto breve, scritto pochi giorni fa e condito con un pizzico di esperienza personale, un tocco di quella collettiva e una dose generosa di fantasia.
Premessa:
La prima casa è un traguardo agognato, è il sogno che coltiviamo da quando nostra madre ci rincorreva con gli zoccoli in mano gridando «quando avrai una casa tua vedremo!». E quello zoccolo, fortunatamente, non arrivava mai ma il momento della prima casa sì, e con lui anche una slavina di emozioni, pensieri, ma soprattutto ansie. Tante ansie.
Il primo mutuo non si scorda mai
L'avevamo vista talmente tante volte in foto, nei video, nella street view di Google Map, che ci sembrava di conoscerne ogni dettaglio. Eravamo pronti, anzi prontissimi, a vedere quella casa l'indomani per la prima volta dal vivo. Avevamo il sogno a un palmo di mano. La sera prima, in divano, fantasticavamo sui progetti, le migliorie, e ne parlavamo già prematuramente come casa nostra, azzardando appellativi come i vicini.
Come sempre accade alle fantasie, prima o poi si saturano, e basta insinuare una minuscola parolina - mutuo - che ecco che i piedi tornano per terra e quello che prima era partito con «per il giardino bisogna chiamare Tizio e farlo sistemare per bene» ora è un «ma intanto vediamo com'è». Quello che era un gioioso rincorrersi di imperativi a voce alta «togliamo la moquette, lasciamo pietra viva, togliamo la carta da parati e tingiamo di verde, mettiamo la scrivania così e la libreria colì» ora è un debole «ci pensiamo domani». E con lo spettro dell’innominabile - mutuo - il domani diventa così lontano che l'attesa si fa insopportabile e gli animi diventano insolenti. I ma i forse i vediamo si fanno largo tra il rosa pastello dei sogni di prima, ne sporcano l’aura immacolata.
I dubbi si ingarbugliano così tanto che ti trovi a chiedere, in quel divano ora improvvisamente stretto, cosa ne sia stato della tua innocenza giovanile, quella in cui non c'erano scelte da fare né mutui parassitari a cui legarsi a vita. E con quella prospettiva ti domandi dove sono finiti anche i tuoi primi trent'anni. E tutto si fa teso, il divano scomodo, la stanza opprimente. E vorresti che mamma e papà fossero lì a tranquillizzarti con una mano sulla spalla e un «ci pensiamo noi a pagarti il mutuo bambina, tu vai a fare i compiti di là».
Per toglierti il peso dell'età adulta di dosso saresti pronta a barattarlo con cento interrogazioni di matematica con la prof Cappellaro che sgranava gli occhi come se stessi scrivendo abomini alla lavagna - che puntualmente scrivevi - ma tu continuavi perché sapevi che presto sarebbe arrivato il suono della campanella a salvarti. Dov'è la campanella a trentasei anni? Che cosa ci salva più?
Lo so io cosa ci salva, ed è molto facile: basta prendere in mano la penna e provare a scrivere la prima riga di una delle equazioni impossibili della prof Cappellaro. Poi prendi i tuoi sedici anni, i tuoi scompensi ormonali, i brufoli e le inguardabili escoriazioni della pelle. Prendi il tipo a cui morivi dietro senza speranze, prendi la sconfitta di saperti almeno un metro sotto terra rispetto alla ragazzina un po’ naïf con cui il tipo se la spassa. Prendi la voglia di urlare, le liti furibonde coi tuoi genitori e la rabbia adolescenziale a combustione spontanea. Prendi quel disagio che non ti fa mangiare, che ti fa mangiare troppo, che non ti spieghi e che nessuno si prende la briga di spiegarti. Prendi tutto questo e poi dimmi, te che leggi, davvero baratteresti quella gioventù, che col senno del poi non era affatto magica come ti piace ricordarla, per questa vita adulta in cui tutto sommato hai già molto di quello che desideravi?
Forse è questo il problema, il non sentirsi mai sazi. Forse la soluzione non è pensare che l’erba del vicino è sempre più verde, ma che «l'erba è più verde dove la si annaffia». E all’erba, come dicevamo, ci penserà Tizio. Noi intanto pensiamo a sopravvivere al nostro mutuo trentennale.
Grazie per aver dedicato il tuo tempo alla lettura. I vostri feedback, i consigli e le critiche sono la parte più gratificante di tanto scrivere.
Per questo 2023 ho in mente grandi cose per i Quadernetti e mi piacerebbe che mi aiutaste nell’impresa. Come?
Lasciando un feedback nello spazio commenti ad esempio, ma soprattutto condividendo questo mio tanto caro spazio virtuale con amici, parenti, appassionati e perdigiorno.
Io, in qualunque caso, ti ringrazio di cuore.
Martina
Ritengo che la condivisione, in generale, sia un gesto magnifico. Anche i Quadernetti sono un atto di condivisione a loro modo, e lo saranno sempre di più. Così ho iniziato a sfruttare le potenzialità dell’ipertesto creando dei link* che vi portano ad altri approfondimenti e che hanno un legame con la parola o il contesto in cui si trovano. Vi invito a seguirli per non smettere mai di essere curiosi.
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