Ciao, stai per leggere il nuovo post dei Quadernetti per la rubrica Tascabile. Una raccolta dei miei racconti, scritti a partire da un ricordo, un’intuizione, un malinteso, un frammento di conversazione. Le foto supportano i testi, e spesso arrivano dove le parole si siedono a guardare.
A conclusione di questa newsletter, dopo il racconto di Tascabile, troverai alcune novità interessanti e promozioni esclusive per il popolo dei Quadernetti.
I Quadernetti di oggi vi portano in viaggio con un racconto brevissimo; più che una gitarella sarà un vero e proprio trip, concepito tra i banchi della palestra letteraria Gymnasion di Itaca Colonia Creativa, qualche mese fa.
La consegna dell’esercizio diceva:
Fai svegliare il tuo protagonista da un sogno tormentato. Cosa ha sognato? È davvero sveglio? Com’è il suo corpo? Cosa vedono i suoi occhi? L’imprevedibilità genera milioni di soluzioni narrative, e ognuna di queste una potenziale storia, esplorando (…) “il piano di irrealtà”.
A questa chiamata ho risposto con una incursione negli stati di coscienza, alterati dall’assunzione di sostanze allucinogene.
Per la stesura mi sono servita della testimonianza di uno psichiatra italiano, raccolta nel testo “Ayahuasca. La fenomenologia dell’esperienza soggettiva” di Antonio Metastasio e Ornella Corazza all’interno del volume “Ayahuasca, dall’Amazzonia all’Italia”, a cura di Giorgio Samorini; Shake Edizioni, 2021.
Quello che segue è un racconto di fantasia.
Viaggiare stanca
L’imbuto è grande abbastanza da farci stare tutto il mio corpo, sia in larghezza che in altezza. Scivolo lungo le pareti, sento che sto cadendo ma allo stesso tempo sono ferma. Non mi aggrappo, sono troppo debole per farlo. Il sangue pompa nelle vene a ritmo di tamburo e io oscillo e mi muovo come in un gorgo, ma al posto dell’acqua ci sono le stelle, alcune hanno forme animali, altre hanno geometrie scomposte. Sembra di essere nel presepe di Nonna Agnese, quando finiva la carta per fare il cielo e incollava ritagli casuali di giornale, rimpiazzando le statuine mancanti con i Transformers di mio fratello.
È buio in questa notte dai contorni impossibili, ma inspiegabilmente tutto è luminoso. Le mie unghie sono torce e le mie orecchie vibrano su frequenze di canti andini. Le Ande. Il cosmo. Il flusso energetico. Vedo me stessa attraverso differenti schermi onirici, in nessuno di questi ho una faccia televisiva. Scompaio simultaneamente da ognuno di essi e della mia immagine non rimane più niente. Mi invade un’angoscia profonda e riprendo a vorticare. Vortica anche il fluido che mi esce dalla bocca e il bavaglino che pende dal mio petto mi dice che in qualche altro tempo, in un prima indefinito, qualcuno l’aveva previsto; lo porto alle labbra per pulirle dai residui e mi accorgo che le mani che lo reggono sono grandi come una scatola di Tic-Tac. Scopro che la bambina alla quale appartengono sono io. Sono stata davvero così brutta da neonata?
Mi sgretolo e divento polvere in un firmamento fatto di liquido amniotico, metempsicosi e ayahuasca. Ayahuasca. Ayahuasca. Ayahuasca.
Orde di pensieri si insinuano bussando alle pareti del mio cervello, che ora paiono fatte di lino, ora di ghisa. Scivolo ancora, giù giù giù, fino al buio ancestrale e ricompaiono le stelle fantasmagoriche. Qualcosa di fresco si appoggia alle mie labbra, mentre qualcuno mi tocca la spalla. Non so chi sia ma ne percepisco la presenza e il profumo di corteccia affumicata. Ho gli occhi di colla vinilica e la gola secca. Mi si ripresenta ancora quel qualcosa di fresco e mi scorre giù per la gola, bruciandola. Fuoco. Caldo. Sete. Acqua. Acqua? Arriva un’onda, è alta, spaventosa, è la cosa più mostruosa che io abbia mai visto. Provo a correre ma le gambe non rispondono. Grido, ma la voce non esce. Sono paralizzata e lei sta arrivando.
Ho la certezza che morirò. Morirò qui da sola, in Perù. Mi porteranno via in una bara fatta di foglie e di ossa di macaco, e mia mamma piangerà tantissimo. Piangerà per giorni, al pensiero che non indossavo i calzini buoni.
I calzini con le ciabatte sono anacronistici, mamma. Mamma. Mamma. Mamma.
Mi tranquillizzo al pensiero delle sue mani calde e lisce, perennemente coperte di crema Nivea. Cerco di afferrarle, scivolo. Stringo più forte, penso a lei con ancora più determinazione.
Non cadrò. Me lo dice una voce fuori campo, limpida e garbata, che riesco quasi ad accarezzare. Piango, e la sapidità delle lacrime dilata i pori del viso. Le gocce godono di vita propria. Le sento. Le tocco. Le bevo. Noto che la mia mano, ora in scala naturale, è ancorata al poncho di un uomo dallo sguardo di rugiada. Ha un sorriso largo, profondo e paterno; lo mantiene anche osservando la traccia di muco che il mio naso ha lasciato nei suoi polsini. Mi gira la testa, il mio salvatore dalle guance caramello mi sorregge e mi porge un bicchiere. Ho voglia di dormire. Ma non dormivo già? Chiudo gli occhi e dietro le mie palpebre uno spettacolo pirotecnico mi informa che il viaggio non è ancora finito, e che forse non finirà mai.
Mi lascio trascinare, perché sono così stanca che non riesco a fare nient’altro.
Fine.
Questo racconto è parte di una raccolta che Quadernetti ha curato in collaborazione con Itaca Colonia Creativa, e che si intitola: Storie dell’Altro Mondo.
Ti è piaciuto questo racconto?
Sì? Allora devi sapere che è stato creato all’interno di un gruppo, chiamato Gymnasion, in cui ogni mese si imparano nuove e differenti tecniche di scrittura, ci si mette in gioco leggendo, scrivendo, discutendo. Gymnasion è una delle tante attività promosse da Itaca Colonia Creativa, che, tra le altre cose, organizza incontri con autrici e autori, laboratori di narrativa e di poesia, masterclass con case editrici, book club e molto altro.
Quadernetti ogni mese mette a disposizione un tot di buoni sconto, esclusivi e in numero limitato, per chiunque fosse interessato a partecipare alle iniziative in partenza.
Scrivi una mail a martina@quadernetti.it per ricevere informazioni.
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